giovedì 31 gennaio 2013

La forma autentica delle cose

Secondo me la crisi non è il frutto di avventate manovre speculative andate male, no.
La crisi è iniziata dentro di noi, quando abbiamo iniziato a dare nomi differenti alle cose, perdendo di vista la forma autentica delle cose.
Cose anche insignificanti alle volte ma anche schifo che abbiamo voluto vestire bene perché sentire certe parole dava fastidio.
Passi per il negozio diventato "store" o per lo spaccio aziendale tramutato in "outlet", poco male.
Quando però gli spacciatori di droga sono diventati "pusher" allora sì che si è aperta una voragine, perché la merda deve essere per forza in qualche maniera "cool" perché certe cose no, meglio non scriverle, meglio non leggerle o peggio, mostrarle.
Così i caseggiati sono diventati "compound", i margini "spread" perché se non sai l'inglese sei out o forse non vuoi far capire proprio niente a chi ti ascolta o legge.
E finché sono parole allora puoi sempre cercare di capire il vero significato ma quando passi alla storia, agli eventi, ecco tutto può diventare positivo, basta trovare le parole più adatte, l'atteggiamento più seducente.
Tanto tutti, prima o dopo nella vita, abbiamo fatto cose anche giuste.
Persino Mussolini, pare.

lunedì 21 gennaio 2013

Le mura di Argirocastro

Da un po' di giorni mi gira in testa questo nome di città: Argirocastro.
Dov'è l'ho imparato poco fa, prima di mettermi a scrivere, giusto così per essere meno ignorante.
Insomma a me questo nome di città, Argirocastro, fa venire in mente una città sotto assedio, orde di predoni pronte a dare l'assalto e ufficiali con sciabole, impeccabili nelle loro uniformi.
E ancora penso ad ufficiali di cavalleria che gridano "Alla carica!" e ancora eleganti donne in abiti ottocenteschi o del primo novecento.
Valorosi soldati che si sacrificano per salvare compagni e infine un bacio mentre il sole tramonta dietro le mura di Argiroscastro.
Chissà, magari un giorno sarò capace di scrivere una storia così.
Buona settimana


sabato 12 gennaio 2013

Un tempo fatto di penne e matite

E se misurassimo il tempo in un'altra maniera?
Un metro tutto nostro, solo nostro per scandire il tempo che passa, oggi siamo tutti sotto il dominio di anni, mesi e giorni.
Per non parlare di ore, minuti e secondi, tutto è fatto di trecentosessantacinque giorni, dodici mesi o sette giorni ma anche di ventiquattro ore, di sessanta minuti e sessanta secondi.
Tutto uguale il tempo scandito e le risposte che diamo.
"Da quanto sei qui?" "Due anni sei mesi e dieci giorni!".
Pensavo in ufficio, guardando la mia penna appena rimasta a secco di inchiostro, da quando sono qui, quante biro ho cambiato?
Quanti fogli di blocco ho usato, quante telefonate e mail fatte ed inviate?
"Da quanto lavori qui?"
"Quindici penne biro, trenta blocchi, cinquemila telefonate e diecimila mail!"
Un tempo fatto di cose usate, un tempo solo nostro senza più i soliti numeri.
Buon fine settimana

giovedì 10 gennaio 2013

Quella volta che attraversai l'ufficio cantando "shock the monkey"

Di solito quando inizio un lavoro nuovo cerco di comportarmi bene per i primi quindici, venti giorni al massimo.
Quindi tengo una condotta irreprensibile, poche battute, poca confidenza, insomma cerco di essere il più anonimo possibile.
Poi, quando capisco con chi si può avere più confidenza mi lascio andare.
Fu così che nel 2006 iniziai a lavorare per un'agenzia grafica di Verona, i primi tempi li trascorsi così, un profilo basso, poca confidenza o il minimo indispensabile per non sembrare antipatico.
In buona sostanza quando c'era il titolare tutti erano seri e rigavano dritto, quando se ne andava l'aria era più leggera e si poteva parlareo scherzare.
Fu così che un pomeriggio entrai nell'ufficio principale e con aria serissima chiesi "C'è il capo?" "No, è uscito, starà fuori per un paio d'ore".
"Bene" risposi e nel frattempo mi accovacciai come una scimmia ed inizia ad andare avanti indietro tra le scrivanie urlando "Shock the monkey" (una triste imitazione di quello che Petr Gabriel faceva durante il concerto).
Le facce dei colleghi le ricordo ancora, come ricordo una collega che mi disse chiaramente "ero convinta tu fossi una persona seria, convintissima e invece anche tu un cazzaro come gli altri".
Poi, dopo un anno e mezzo cambiai lavoro, convinto di andare in un posto migliore, mi sbagliavo e tanto anche.
Ora son tornato a lavorare in quella agenzia di grafica, il responsabile del personale mi ha accolto con queste parole "l'ambiente non è più quello di un tempo, c'è più serietà, mi raccomando!" "certo, non ti devi preoccupare"e lui subito "comunque quando il capo non c'è puoi ancora imitare Peter Gabriel"

Peter Gabriel. Shock the monkey.

lunedì 7 gennaio 2013

Tutte le volte che facciamo sesso senza fare sesso

Facciamo sesso più di quanto pensiamo, non ci credete?
O meglio, incontriamo il sesso più di quanto possiamo immaginare, non dico le ammiccanti pubblicità con corpi ben in vista o in qualche scena provocante alla tv.
Parlo di quelle occasioni nelle quali basta uno sguardo, un gesto per provocare quel meccanismo che scatena il desiderio.
Non è forse sesso quel sorriso che ci si scambia dopo aver fatto l'amore anche a ore di distanza, quel complice segno d'intesa che cela una cosa divisa solo tra e te l'altra persona?
Non è forse sesso l'incontrare qualcuno che hai amato e guardarlo con la consapevolezza di avere condiviso un piacere intimo?
La mano sul ginocchio mentre guidi o sei al cinema o sul divano... volete dire che non è sesso?
E quello sguardo compiaciuto della collega che sa di essere guardata...
Una camminata elegante... una gamba ed una calza...
Tutto può diventare desiderio dell'altro, persino un messaggio può scatenare fantasie, poi cosa importa se si avvereranno o meno, cosa importa.
E queste per me sono le volte nelle quali facciamo sesso senza fare sesso.
Buona settimana