sabato 10 ottobre 2020

Gianni

Si chiama come me, Gianni.

Si alza sempre prima di tutti, esce e va al bar, veramente non so se beva qualcosa o vada lì per fare due chiacchiere o giusto solo per salutare quelli che passano.

Negli anni ha visto il paese cambiare forma, gli amici del tresette mancare uno a uno e quelli rimasti ora escono di rado, qualcuno non può più farlo.

Il bar con i bicchieri di spuma, i bianchi, le tavole dedicate al tresette, al terziglio e alle briscole interminabili non c'è più.

Il corpo è invecchiato ma dentro è ancora un bambino, è sempre stato un bambino imprigionato nel corpo di un adulto e lui da bravo ragazzino a modo saluta tutti con un buongiorno e un sorriso.

Vederlo mi fa ripensare a un tempo che non c'è più ma bello da ricordare e mi piace che i ricordi arrivino da qualcuno che si chiama come me.

Gianni.



domenica 2 agosto 2020

La cifra tonda delle commemorazioni

Più si invecchia e più si ha la consapevolezza del tempo che passa.
Così mi ritrovo ad avere un'età nella quale di certi eventi ho visto il decennale, ventennale, trentennale e oggi il quarantennale.
Dopo quaranta anni siamo ancora qui a sfornare teorie, alcune improbabili altre più veritiere e tutto quello che rimane sono solo quaranta anni di parole.
Quaranta anni di cedimenti strutturali, di bombe e missili.
Quanranta anni di caldaie che esplodono anzi di bomba fascista, no palestinese forse libica o forse la mafia che vuole alleggerire la pressione dello stato in Sicilia.
Forse, forse, forse e ancora forse.
Un nulla che porta a un nulla che rivela solo il nulla di mille parole.
Oggi sventoleremo il nostro senso civico, sventoleremo la nostra indignazione, diremo parole grosse come "la verità e la giustizia sono valori a cui uno stato civile non può rinunciare".
E domani?
Domani sarà l'ennesimo giorno nel quale chi ha chiesto la verità per un parente, un amico, un amore avrà l'ennesima solidarietà delle istituzioni nella ricerca della verità.
Sarà solo il giorno dopo all'ennesima cifra tonda di una commemorazione.




domenica 7 giugno 2020

La foto del 2 marzo

2 marzo 2020

Piove a Milano, piove dalla mattina ininterrottamente e forte.
Sto tornando a casa dopo una giornata nella nuova sede dell'azienda per la quale lavoro.
Fermo a un semaforo scatto una foto.
Una vecchia canzone italiana recita "è arrivata la bufera" ma sono ancora giorni ne quali l'opinione prevalente è che sì c'è un virus che gira ma sembra essere solo una influenza più forte.

Anche io l'ho pensato e ci ho creduto e ho anche preso in giro chi già iniziava a girare con le mascherine.
Poi tutto è diventato più serio, tragicamente serio.

La pioggia del 2 marzo non aveva nulla di manzoniano, non era la provvidenza che cancellava la peste e si tornava a vivere.
Non era un giorno di pioggia come possono esserci in quei periodi che non sono più inverno ma nemmeno primavera, la bufera era arrivata.
Poi sono iniziati i giorni uguali, senza i soliti rumori, con le cifre impietose, le polemiche, tra picchi e plateau.

E dopo?

Siamo abituati a leggere storie nelle quali a un certo punto qualcuno vince, a volte nelle più catastrofiche vince chi viene dipinto come il cattivo, in altre prevalgono i buoni che finalmente trovano la via maestra per uscire dal buio.
Mentre scrivo in ogni parte del mondo ogni ora si ammalano altre persone e purtroppo molte altre muoiono.

Semplicemente qui abbiamo deciso di tornare a vivere quasi come prima, sapendo che il nemico non è vinto ma tentando di conviverci.
Non è andato tutto bene, questa è l'amara verità e a parer mio i costi sociali di quello che abbiamo vissuto inizieremo a vederli solo tra qualche mese.
Ora siamo ancora storditi dal rivedere le persone che amiamo, dal riprendere a vivere una parvenza di normalità.
Almeno ora abbiamo smesso di guardare con sospetto chi ci precede o segue mentre attendiamo in fila di entrare al supermercato.

Oggi è il 7 giugno 2020 forse sta per piovere come piove quando è ancora primavera e non è ancora estate, guardo una foto del 2 marzo e nonostante tutto penso che la bufera sia passata.

Buona domenica

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martedì 12 maggio 2020

Quando in campo scenderai

Sarebbe facile in occasione dell'anniversario dello scudetto dell'Hellas Verona, parlare ancora una volta di quel campionato.
Più difficile è parlare del 29 aprile 1990, quando il Verona se ne andò in serie B.
Finiva così l'era di Osvaldo Bagnoli, la più gloriosa nella storia dell'Hellas Verona.
Sarebbero bastati due o tre pareggi in più, o almeno un paio di vittorie in più per riuscire a salvarsi dalla serie B.
La matematica dà sempre una speranza, la storia no.
Le storie finiscono, a volte male ma come disse Alex Ferguson lasciando il Manchester United occorre ricordare tutto "even the defeats", anche le sconfitte.
Rimangono le vittorie che nessuno avrebbe mai pensato di raggiungere, i gol strepitosi che nessuno mai avrebbe pensato di vedere.
Rimane lo scudetto.
Ai tifosi sarebbe bastato ricordare un gol segnato senza scarpa alla Juventus da parte di Elkajaer, invece la storia ci regala il ricordo di uno scudetto.
Capii che quel periodo si avviava alla fine quando arrivò al Bentegodi il Milan berlusconiano.
Non fece vedere palla al Verona, poi l'anno dopo giocammo uno scherzo incredibile al Milan, battendolo e regalando lo scudetto al Napoli.
Fu un caso, come un orologio rotto che segna due volte al giorno l'ora esatta.
Quel ciclo era finito e la partita a Cesena del 29 aprile non fu che l'ufficializzazione di una cosa che ormai i tifosi sapevano da tempo.
Eppure i tifosi sono ancora lì, dopo 35 anni a cantare la versione locale di "you'll never walk alone".
Non lo so se un giorno qualcuno griderà ancora in Piazza Bra "Siamo campioni!" come fece Osvaldo bagnoli la sera del 12 maggio 1985.
Hellas Verona non lo so cosa riserverà il futuro, nessuno lo sa.
So che i tuoi tifosi ci saranno sempre quando in campo scenderai.

sabato 2 maggio 2020

Un bacio clandestino

Non parcheggiavano mai nel parcheggio riservato ai clienti,
Indossavano la mascherina, i guanti e preso il carrello si mettevano in fila.
Fingevano di non conoscersi, solo i più attenti avrebbero potuto capire il loro gioco di sguardi ma tutti erano troppo attenti al proprio turno di entrata.
Poi, pagato e usciti, entravano in quel lungo corridoio con una rientranza più o meno a metà della lunghezza del corridio, grande abbastanza per uscire dalla vista di tutti.
Solo un ciao e un sorriso e poi tolta la mascherina un lungo bacio.
Era il solo momento che potevano avere, avevano deciso di correre quel pericolo ma a volte i sentimenti, il desiderio e il corpo obbediscono a qualcosa che non è scritto e che è difficile o almeno per loro era difficile impedire.
Poi a turno uscivano, fingendo indifferenza e salendo in fretta in auto, guidando ancora più in fretta verso casa.
Arrivati una domanda li avrebbe attesi, una sola domanda da parte dei propri compagni:
"Ci hai messo tanto, c'era gente?"
Come sempre sarebbe bastato rispondere: "Sì, lo sai com'è di questi tempi".

martedì 28 aprile 2020

La sera in cui arrivammo a Vienna

Vienna ha quasi due milioni di abitanti e nonostante la si pensi come una città mollemente abbandonata alla nostalgia di un tempo andato, è una capitale moderna, viva e aperta al futuro e questo si respira in tante cose.
Sono passati quasi quattordici anni dalla sera in cui arrivammo a Vienna, era agosto e Vienna la prima tappa di un viaggio che ci avrebbe portato più lontano.
Fino quasi al confine tra la Polonia e l'Ucraina ma questa è un'altra storia e non appartiene a me.
Pioveva forte quella sera e il pensiero comune fu che la vacanza non iniziava almeno meteorologicamente, come speravamo.
Appena la pioggia diede un po' tregua uscimmo a fare due passi, il centro era deserto, in fondo chi se la sente di uscire con un tempo così?
Solo noi, stufi di avere fatto non so quante ore di auto e per niente felici di passare la prima notte di vacanza in una camera d'albergo.
Se dico che trovammo una città deserta dovete crederrmi, una cosa irreale.
Il giorno dopo il sole tornò a splendere e così la città si mostrò per quella capitale viva che amo ricordare e di cui ho grande nostalgia.
Era stato tutto frutto del caso, complice un giorno di pioggia e l'ora tarda.
Oggi, quando vedo le immagini delle città vuote, ripenso a quella sera e a come l'eccezione sia diventata la regola, il sole splende ma le strade sono comunque vuote.
Mentrre scrivo la nostalgia si fa strada e vorrei essere con i miei amici come quella sera quando arrivammo a Vienna.



sabato 25 aprile 2020

Gli americani


“Tu hai sposato mia sorella!”
Mi parla così zio Biagio, sto per rispondere che no non sono mio papà e sua sorella è mia mamma ma poi mi rendo conto che l'Alzheimer gli sta mangiando a poco a poco la memoria.
Sarebbe inutile ribattere, gli lascio credere quello che vuole o quello che la sua memoria vuol fargli vedere.
A volte se ne rende conto da solo, quando riesce a scacciare per un attimo l'inesorabile malattia, allora abbassa lo sguardo che si vela di tristezza.
Poi ricomincia a parlare continuando a pensare che io sia papà “ti ricordi quando
in tempo di guerra ci dissero che gli americani erano vicino al nostro paese? Attraversai i campi a piedi per vederli”.
Zio è sempre stato così, curioso e impulsivo.
Con i tedeschi ancora in giro andò a vedere gli americani che stavano arrivando.
Annuisco e improvvisamente capisco che tutti i ricordi di guerra dei miei parenti sono ricordi di persone che erano poco più che ragazzini.
“Sai quando bombardarono lo snodo ferroviario a pochi chilometri da noi lo fecero di notte e le esplosioni furono così grandi da illuminare a giorno il paese”.
“Avevamo paura la notte perché poi girava un aereo, lo chiamavamo Pippo e quando lo sentivamo arrivare ci nascondevamo sotto il letto.”
La badante di zio rientra dalla sua pausa, è ora di andare, lo abbraccio.
“Salutami mia sorella e torna presto"
Gli sorrido.
Zio abita poco fuori dal centro, da casa sua si vede la campagna, c'è ancora luce quasi quasi anche io vado ad attraversare a piedi quei campi laggiù.
Anche io voglio vedere gli americani.

giovedì 23 aprile 2020

Il lungo giorno e la lunga notte

Strano come alcuni ricordi rimangano ben fermi sempre nella testa mentre altri svaniscano senza lasciare traccia.
Cicatrici che solcano la pelle della vita.
Penso a questo periodo forzatamente passato a casa, a questo lungo giorno sempre uguale.
Così i ricordi tornano a un altro lungo giorno che ho incontrato durante la mia vita.
Quel giorno senza fine che però stava portando mamma alla fine delle sue sofferenze.
Mamma non riusciva a dormire e quando capitava era un miracolo.
Con l'ultimo filo di voce rimasta, prima che la SLA la privasse della voce, mi disse "la notte è lunga".
Sai mamma anche questo è un lungo giorno che non finisce mai e la notte raramente è di ristoro verso la luce.
Finirà prima o poi, lo so e sarà un altro ricordo che non svanirà nel nulla e guardandomi allo specchio una ruga in più mi ricorderà questo secondo lungo giorno e questa altrettanto lunga notte.

giovedì 16 aprile 2020

Elogio dell'errore

Capita a volte che un fatto drammatico come la morte porti a sviluppi inaspettatamente comici.
Così oggi la morte, purtroppo, di uno scrittore famoso causata dall'epidemia in corso unita al fatto che una testata, che si è scusata per l'errore, gli abbia attribuito un romanzo non suo; ha scatenato l'ilarità collettiva.
Se il primo sentimento è di riprovazione per un errore grossolano, il pensiero corre ai propri errori gratuiti.
Personalmente considero l'errore un vanto, um momento che ci apre gli occhi, che ci restituisce le persone in una dimensione più vera.
In un mondo di eventi programmati, schedualati, di lavori eseguiti con precisione svizzera, ebbene signore e signori facciamocene una ragione: si sbaglia!
Sbaglia chiunque, ovunque e in ogni momento.
Si sbaglia per ignoranza, arroganza, fretta, mancanza di controllo e chi ne ha più ne metta. 
Sbaglia lo sportivo miliardario e quello dilettante.
Il giornalista esperto e quello alle prime armi.
Lo scrittore affermato e quello che tenta di farsi strada.
Sbaglio io, nel mio mestiere, a mandare la mail corretta all'interlocutore giusto o a fare la telefonata alla persona sbagliata.
L'errore fa parte di noi e per fortuna ne fa parte.
Certo ci sono errori che non lasciano scampo ma almeno servono d'insegnamento per chi se la cava.
Eppoi non è stato meravigliosamente bello l'errore, in diretta mondiale, di consegare il premio Oscar al film sbagliato?
Io degli errori ne vado fiero, non fierissimo sia chiaro ma definiscono meglio chi sono veramente.
Non bisogna vergognarsi degli errori.
Ecco magari non proprio  tutti ma prendiamola meno seriamente. Come scrisse Umberto Eco, raccontando le vicende lavorative di quel Foucault nel celeberrimo Il pendolare Foucault.
Mi confermate che è il titolo giusto vero?




sabato 4 aprile 2020

Data da destinarsi

Da quando ho lasciato l'ufficio e lavoro da casa la mia postazione preferita è il divano.
Appunto ci lavoro, con giorni buoni e altri meno buoni. 
In buona sostanza le stesse cose che so fare bene in ufficio le faccio bene anche a casa.
Così come gli stessi errori che faccio in ufficio li faccio anche a casa.
Tornando al divano.
A volte mangio sul divano, naturalmente guardo la tv e a volte ci dormo pure.
Non c'è molto altro da fare, di questi tempi.
Il lato positivo è che ho una casa dove stare e un divano  comodo.
Se non posso vivere divinamente posso vivere almeno divanamente.
Le poche volte che metto il naso fuori c'è un'aria fresca e mi sembra più pulita, è strano pensare che nella stessa aria viva il nemico di questi tempi.
Poi ci sono pochi rumori anzi a volte c'è tanto silenzio, silenzio interrotto dalle voci che sento negli appartamenti vicini o dal rumore delle abitudini altrui.
Intanto fuori la gente si ammala, c'è chi ce la fa e chi invece no.
C'è chi lavora disperatamente per aiutare i malati, chi per farci mangiare.
Tutto quello che posso fare io invece è stare sul divano.
Il destino mi ha evitato, nelle mie scelte professionali, di vedere la sofferenza.
Fino a qualche giorno fa non avevo paura del futuro, da qualche giorno un po' di più, vedendo quei cartelli appesi sulle vetrine di negozi, bar, cinema e ristoranti che mai e poi mai avrei immaginato chiusi così a lungo.
Riapertura prevista a data da destinarsi.
Quando rivedrò di persona i miei amici, i miei colleghi?
Quando potrò tornare nei luoghi dove amo andare?
Per il momento ho appeso anche io un cartello
La vita di prima? A data da destinarsi.









venerdì 3 aprile 2020

87%

Sono nato e ho vissuto a lungo in un paese che oggi conta circa 16000 abitanti, da qualche anno abito in un paese che conta, più o meno, lo stesso numero di abitanti.
Alla data dell'ultimo aggiornamento i morti causati da questa epidemia sono ufficialmente 13915.
Se confrontiamo questo numero con il numero di abitanti in Italia o con gli abitanti di una metropoli, il risultato è una piccola percentuale.
Da un punto di vista statistico potremmo definirla una percentuale insignificante.
Io però non sono un freddo analizzatore di dati, non creo modelli matematici.
Mi limito a pensare che 13915 è per lieve eccesso  l'87% dei miei ex compaesani o dei miei attuali compaesani.
In due mesi è come se l'87% di uno di questi due paesi fosse stato cancellato.
87%.
In due mesi.

giovedì 2 aprile 2020

Essere Antonio Zequila

Lo so, state già storcendo il naso.
Con tutto quello che sta capitando in Italia mi metto a scrivere di un concorrente del Grande Fratello VIP?
Vi assicuro che ogni giorno seguo le vicende sul Covid 19, ogni giorno dopo la conferenza stampa della Protezione Civile ho quel senso di smarrimento, di tristezza.
Ogni giorno ricevo il mio mezzo chilo di video di tribuni della plebe che se la prendono con Roma ladrona o con la bieca Europa che affama i popoli, di complotti vari legati al virus, di teorie pseudoscientifiche sulla diffusione del virus.
Ogni santo giorno.
Quindi a un certo punto il cervello ha bisogno di distrarsi, di altro, di uno spazio nel quale respirare qualcosa di diverso.
Così mi sono messo a guardare le dirette del cosiddetto GF VIP.
Bellissimo dover stare in casa per forza e guardare chi sta in casa per gioco.
Mi ha colpito tra i tanti concorrenti Antonio Zequila.
Zequila non è una cattiva persona ma ha un grandissimo difetto, questo suo ego smisurato, così smisurato che talvolta gli tocca uscire dalla stanza nella quale si trova per fargli posto.
Io adoro osservare le persone con un ego smisurato perché a un certo punto diventano una parodia di loro stessi.
Così Zequila in ogni discorso infila i suoi successi professionali e amorosi e se millanta conquiste femminili poi smentite, Zequila si arrabbia, si alza in piedi e ribadisce di essere elegante e perbene come se queste qualità da sole garantissero il permesso di dire qualsiasi cosa sulle donne.
Ingrediente fondamentale è parlare, per lui, con uno sguardo languido da tombeur de femmes frutto di centinaia di fotoromanzi di cui è divo incontrastato.
Non ci sono mezze misure per Zequila, o lo si ama così com'è o niente!
L'autocritica massima che potrete sentire da un personaggio come lui è di non essere stato capito nella sua vera essenza quindi alla fine è sempre colpa degli altri, mai sua.
In fondo un po' tutti siamo dei Zequila in miniatura, pronti a sbandierare anche il più insignificante gesto quotidiano come un evento eccezionale.
L'importante è esserne coscienti e capire dove fermarsi.
Pure io che sto scrivendo questa cosa sono vittima della mia presunzione di saper scrivere ma questo l'ho scritto solo per mettere le mani avanti da eventuali critiche.
Critiche di chi mi legge e non sa cogliere la mia vera essenza.







lunedì 23 marzo 2020

A volte sparano


A volte sparano, la prima volta in aria poi se non ti allontani allora ti sparano addosso.
Sono stati chiari: niente permesso, niente spesa!
All'inizio potevi metterti in fila a un metro di distanza, potevi anche evitare di mettere la mascherina.
Era sufficiente disinfettarsi le mani e mettere i guanti.
Adesso si entra in auto nel parcheggio e devi aspettare il tuo turno, se è tutto in regola entri altrimenti sparano.
Ora sentire spari è diventato raro ma all'inizio sembrava una battaglia.
Gli spari sono diminuiti quando hanno ammazzato qualcuno, li lasciavano lì per terra quelli morti che non avevano rispettato le regole.
Per dare una lezione e la lezione l'abbiamo imparata.
Mi hanno chiesto "come va?"
Ho risposto "a volte sparano".

sabato 21 marzo 2020

Postp.

Sport, mostre, fiere, film, tutto ha una piccola dicitura accanto: postp.
Tutto rimandato a dopo.
L'amore?
Lo sento dalle tue parole.
Vorrei stringerti, abbracciarti e baciarti.
Quanto c'è da casa mia a casa tua?
Forse lo spazio di qualche canzone e di un giornale radio.
Forse qualcosa meno o qualcosa di più, che importa?
Eppure sei più lontana di quanto potessi mai immaginare, muri invisibili, minacce invisibili.
L'amore?
Postp.

sabato 14 marzo 2020

Andrà tutto bene?

Andrà tutto bene?
Lascio la mia personale risposta alle ultime righe.
Probabilmente tra qualche secolo chi leggerà delle vicende legate a questo periodo archivierà tutto con un semplice "tutto sommato è durato poco e con pochi danni".
Prendiamo una vicenda come  il muro di Berlino.
Nella storia dell'umanità il muro di Berlino ha uno spazio di trenta anni, cosa sono trenta anni all'interno della storia dell'uomo?
In termini numerici nulla ma se traduciamo questo periodo nel prezzo pagato da chi l'ha vissuto sulla propria pelle?
Le due guerre mondiali complessivamente sono durate poco più di dieci anni ma quante ferite ci portiamo ancora addosso?
Lungo o breve, violento o meno violento che sia un periodo storico lascia sempre alla fine un conto da pagare.
Quando la battaglia finisce e i fumi delle esplosioni si diradano rimangono i corpi a terra, le case distrutte, il lamento dei feriti.
Dovremo fare i conti con quello che un virus ha lasciato, saremo differenti, forse con maggiore interesse e rispetto per le cose che davamo per scontate.
O forse no facendo finta che nulla sia accaduto.
Quindi andrà tutto bene?
Andrà.