martedì 28 aprile 2020

La sera in cui arrivammo a Vienna

Vienna ha quasi due milioni di abitanti e nonostante la si pensi come una città mollemente abbandonata alla nostalgia di un tempo andato, è una capitale moderna, viva e aperta al futuro e questo si respira in tante cose.
Sono passati quasi quattordici anni dalla sera in cui arrivammo a Vienna, era agosto e Vienna la prima tappa di un viaggio che ci avrebbe portato più lontano.
Fino quasi al confine tra la Polonia e l'Ucraina ma questa è un'altra storia e non appartiene a me.
Pioveva forte quella sera e il pensiero comune fu che la vacanza non iniziava almeno meteorologicamente, come speravamo.
Appena la pioggia diede un po' tregua uscimmo a fare due passi, il centro era deserto, in fondo chi se la sente di uscire con un tempo così?
Solo noi, stufi di avere fatto non so quante ore di auto e per niente felici di passare la prima notte di vacanza in una camera d'albergo.
Se dico che trovammo una città deserta dovete crederrmi, una cosa irreale.
Il giorno dopo il sole tornò a splendere e così la città si mostrò per quella capitale viva che amo ricordare e di cui ho grande nostalgia.
Era stato tutto frutto del caso, complice un giorno di pioggia e l'ora tarda.
Oggi, quando vedo le immagini delle città vuote, ripenso a quella sera e a come l'eccezione sia diventata la regola, il sole splende ma le strade sono comunque vuote.
Mentrre scrivo la nostalgia si fa strada e vorrei essere con i miei amici come quella sera quando arrivammo a Vienna.



sabato 25 aprile 2020

Gli americani


“Tu hai sposato mia sorella!”
Mi parla così zio Biagio, sto per rispondere che no non sono mio papà e sua sorella è mia mamma ma poi mi rendo conto che l'Alzheimer gli sta mangiando a poco a poco la memoria.
Sarebbe inutile ribattere, gli lascio credere quello che vuole o quello che la sua memoria vuol fargli vedere.
A volte se ne rende conto da solo, quando riesce a scacciare per un attimo l'inesorabile malattia, allora abbassa lo sguardo che si vela di tristezza.
Poi ricomincia a parlare continuando a pensare che io sia papà “ti ricordi quando
in tempo di guerra ci dissero che gli americani erano vicino al nostro paese? Attraversai i campi a piedi per vederli”.
Zio è sempre stato così, curioso e impulsivo.
Con i tedeschi ancora in giro andò a vedere gli americani che stavano arrivando.
Annuisco e improvvisamente capisco che tutti i ricordi di guerra dei miei parenti sono ricordi di persone che erano poco più che ragazzini.
“Sai quando bombardarono lo snodo ferroviario a pochi chilometri da noi lo fecero di notte e le esplosioni furono così grandi da illuminare a giorno il paese”.
“Avevamo paura la notte perché poi girava un aereo, lo chiamavamo Pippo e quando lo sentivamo arrivare ci nascondevamo sotto il letto.”
La badante di zio rientra dalla sua pausa, è ora di andare, lo abbraccio.
“Salutami mia sorella e torna presto"
Gli sorrido.
Zio abita poco fuori dal centro, da casa sua si vede la campagna, c'è ancora luce quasi quasi anche io vado ad attraversare a piedi quei campi laggiù.
Anche io voglio vedere gli americani.

giovedì 23 aprile 2020

Il lungo giorno e la lunga notte

Strano come alcuni ricordi rimangano ben fermi sempre nella testa mentre altri svaniscano senza lasciare traccia.
Cicatrici che solcano la pelle della vita.
Penso a questo periodo forzatamente passato a casa, a questo lungo giorno sempre uguale.
Così i ricordi tornano a un altro lungo giorno che ho incontrato durante la mia vita.
Quel giorno senza fine che però stava portando mamma alla fine delle sue sofferenze.
Mamma non riusciva a dormire e quando capitava era un miracolo.
Con l'ultimo filo di voce rimasta, prima che la SLA la privasse della voce, mi disse "la notte è lunga".
Sai mamma anche questo è un lungo giorno che non finisce mai e la notte raramente è di ristoro verso la luce.
Finirà prima o poi, lo so e sarà un altro ricordo che non svanirà nel nulla e guardandomi allo specchio una ruga in più mi ricorderà questo secondo lungo giorno e questa altrettanto lunga notte.

giovedì 16 aprile 2020

Elogio dell'errore

Capita a volte che un fatto drammatico come la morte porti a sviluppi inaspettatamente comici.
Così oggi la morte, purtroppo, di uno scrittore famoso causata dall'epidemia in corso unita al fatto che una testata, che si è scusata per l'errore, gli abbia attribuito un romanzo non suo; ha scatenato l'ilarità collettiva.
Se il primo sentimento è di riprovazione per un errore grossolano, il pensiero corre ai propri errori gratuiti.
Personalmente considero l'errore un vanto, um momento che ci apre gli occhi, che ci restituisce le persone in una dimensione più vera.
In un mondo di eventi programmati, schedualati, di lavori eseguiti con precisione svizzera, ebbene signore e signori facciamocene una ragione: si sbaglia!
Sbaglia chiunque, ovunque e in ogni momento.
Si sbaglia per ignoranza, arroganza, fretta, mancanza di controllo e chi ne ha più ne metta. 
Sbaglia lo sportivo miliardario e quello dilettante.
Il giornalista esperto e quello alle prime armi.
Lo scrittore affermato e quello che tenta di farsi strada.
Sbaglio io, nel mio mestiere, a mandare la mail corretta all'interlocutore giusto o a fare la telefonata alla persona sbagliata.
L'errore fa parte di noi e per fortuna ne fa parte.
Certo ci sono errori che non lasciano scampo ma almeno servono d'insegnamento per chi se la cava.
Eppoi non è stato meravigliosamente bello l'errore, in diretta mondiale, di consegare il premio Oscar al film sbagliato?
Io degli errori ne vado fiero, non fierissimo sia chiaro ma definiscono meglio chi sono veramente.
Non bisogna vergognarsi degli errori.
Ecco magari non proprio  tutti ma prendiamola meno seriamente. Come scrisse Umberto Eco, raccontando le vicende lavorative di quel Foucault nel celeberrimo Il pendolare Foucault.
Mi confermate che è il titolo giusto vero?




sabato 4 aprile 2020

Data da destinarsi

Da quando ho lasciato l'ufficio e lavoro da casa la mia postazione preferita è il divano.
Appunto ci lavoro, con giorni buoni e altri meno buoni. 
In buona sostanza le stesse cose che so fare bene in ufficio le faccio bene anche a casa.
Così come gli stessi errori che faccio in ufficio li faccio anche a casa.
Tornando al divano.
A volte mangio sul divano, naturalmente guardo la tv e a volte ci dormo pure.
Non c'è molto altro da fare, di questi tempi.
Il lato positivo è che ho una casa dove stare e un divano  comodo.
Se non posso vivere divinamente posso vivere almeno divanamente.
Le poche volte che metto il naso fuori c'è un'aria fresca e mi sembra più pulita, è strano pensare che nella stessa aria viva il nemico di questi tempi.
Poi ci sono pochi rumori anzi a volte c'è tanto silenzio, silenzio interrotto dalle voci che sento negli appartamenti vicini o dal rumore delle abitudini altrui.
Intanto fuori la gente si ammala, c'è chi ce la fa e chi invece no.
C'è chi lavora disperatamente per aiutare i malati, chi per farci mangiare.
Tutto quello che posso fare io invece è stare sul divano.
Il destino mi ha evitato, nelle mie scelte professionali, di vedere la sofferenza.
Fino a qualche giorno fa non avevo paura del futuro, da qualche giorno un po' di più, vedendo quei cartelli appesi sulle vetrine di negozi, bar, cinema e ristoranti che mai e poi mai avrei immaginato chiusi così a lungo.
Riapertura prevista a data da destinarsi.
Quando rivedrò di persona i miei amici, i miei colleghi?
Quando potrò tornare nei luoghi dove amo andare?
Per il momento ho appeso anche io un cartello
La vita di prima? A data da destinarsi.









venerdì 3 aprile 2020

87%

Sono nato e ho vissuto a lungo in un paese che oggi conta circa 16000 abitanti, da qualche anno abito in un paese che conta, più o meno, lo stesso numero di abitanti.
Alla data dell'ultimo aggiornamento i morti causati da questa epidemia sono ufficialmente 13915.
Se confrontiamo questo numero con il numero di abitanti in Italia o con gli abitanti di una metropoli, il risultato è una piccola percentuale.
Da un punto di vista statistico potremmo definirla una percentuale insignificante.
Io però non sono un freddo analizzatore di dati, non creo modelli matematici.
Mi limito a pensare che 13915 è per lieve eccesso  l'87% dei miei ex compaesani o dei miei attuali compaesani.
In due mesi è come se l'87% di uno di questi due paesi fosse stato cancellato.
87%.
In due mesi.

giovedì 2 aprile 2020

Essere Antonio Zequila

Lo so, state già storcendo il naso.
Con tutto quello che sta capitando in Italia mi metto a scrivere di un concorrente del Grande Fratello VIP?
Vi assicuro che ogni giorno seguo le vicende sul Covid 19, ogni giorno dopo la conferenza stampa della Protezione Civile ho quel senso di smarrimento, di tristezza.
Ogni giorno ricevo il mio mezzo chilo di video di tribuni della plebe che se la prendono con Roma ladrona o con la bieca Europa che affama i popoli, di complotti vari legati al virus, di teorie pseudoscientifiche sulla diffusione del virus.
Ogni santo giorno.
Quindi a un certo punto il cervello ha bisogno di distrarsi, di altro, di uno spazio nel quale respirare qualcosa di diverso.
Così mi sono messo a guardare le dirette del cosiddetto GF VIP.
Bellissimo dover stare in casa per forza e guardare chi sta in casa per gioco.
Mi ha colpito tra i tanti concorrenti Antonio Zequila.
Zequila non è una cattiva persona ma ha un grandissimo difetto, questo suo ego smisurato, così smisurato che talvolta gli tocca uscire dalla stanza nella quale si trova per fargli posto.
Io adoro osservare le persone con un ego smisurato perché a un certo punto diventano una parodia di loro stessi.
Così Zequila in ogni discorso infila i suoi successi professionali e amorosi e se millanta conquiste femminili poi smentite, Zequila si arrabbia, si alza in piedi e ribadisce di essere elegante e perbene come se queste qualità da sole garantissero il permesso di dire qualsiasi cosa sulle donne.
Ingrediente fondamentale è parlare, per lui, con uno sguardo languido da tombeur de femmes frutto di centinaia di fotoromanzi di cui è divo incontrastato.
Non ci sono mezze misure per Zequila, o lo si ama così com'è o niente!
L'autocritica massima che potrete sentire da un personaggio come lui è di non essere stato capito nella sua vera essenza quindi alla fine è sempre colpa degli altri, mai sua.
In fondo un po' tutti siamo dei Zequila in miniatura, pronti a sbandierare anche il più insignificante gesto quotidiano come un evento eccezionale.
L'importante è esserne coscienti e capire dove fermarsi.
Pure io che sto scrivendo questa cosa sono vittima della mia presunzione di saper scrivere ma questo l'ho scritto solo per mettere le mani avanti da eventuali critiche.
Critiche di chi mi legge e non sa cogliere la mia vera essenza.