giovedì 26 settembre 2013

Poi iniziò a piovere



Seduto sulla panchina Gianni leggeva le notizie del giorno, finalmente la primavera si era decisa a prendere il posto dell’inverno.
Gli tornò alla mente una gita con sua madre, aveva portato mamma già malata a vedere il lago di Garda, il calore del sole gli ricordò attimo per attimo quella giornata diversa dentro un lungo cammino di dolore.
Gianni ripensava ai libri di fantascienza letti, ai film visti, in quelle storie le malattie avevano sempre una cura, sempre.
Tutto era semplice, gli scienziati in poco tempo costruivano astronavi o macchinari capaci di viaggiare nel tempo e nello spazio e così le malattie sconosciute e letali venivano eroicamente vinte.
Invece a Gianni era toccato di vivere in una realtà senza nulla di fantastico o eroico, l’unica cosa che poteva fare era sedersi accanto al letto di mamma e aspettare che la morte prendesse la decisione di liberare quel corpo martoriato da tutte le sofferenze.
La morte si decise una domenica mattina di Febbraio, dopo tre infiniti anni.
Da allora Gianni ebbe solo un pensiero ricorrente “Chissà se si troverà mai una cura? Magari ora nel futuro qualche medico ha scoperto il rimedio definitivo alla piaga che ha ucciso mamma e così tante persone”
E mentre pensava ancora una volta a quella domanda accanto a lui sedette un uomo, Gianni lo guardò e rimase impietrito.
Era lui, solo più vecchio ma identico a lui, persino negli abiti.
Il cuore iniziò a battere a mille, non riusciva a muoversi o parlare per la paura, poi l’anziano Gianni parlò.
“Non è un’allucinazione e non avere paura, vengo a darti la risposta che cerchi da tempo”
 “La cura?”
“L’abbiamo trovata, ora nessuno più soffre di quel flagello ma sono venuto anche per rispondere ad un’altra domanda, quella che non ritieni importante”
“Sarò per sempre solo?”
“No, non lo sarai ma non mi è concesso dirti di più, le macchine che utilizziamo per muoverci nel tempo possiamo usarle solo osservando il divieto di non modificare gli eventi. Con te abbiamo fatto un’eccezione per ‘correggere’ un’anomalia. C’è solo una cosa che da oggi in avanti potrai sapere sul tuo futuro”
“Cosa?”
“Poi iniziò a piovere, solo questo. Addio”
Un anno dopo
Sedette sulla stessa panchina di sempre e iniziò a leggere come faceva sempre, il tablet inizio a mostrargli parole, suoni e immagini.
Una ragazza seduta sulla panchina di fronte lo guardava incuriosita.
“Un giorno così bello tu passi il tempo a guardare uno schermo?” chiese la donna.
“Ho questa abitudine, mi aiuta a rilassarmi dopo una settimana di lavoro e non ho molto tempo per leggere gli altri giorni”
“A me piace leggere prima di addormentarmi ma non c’è libro che tenga quando il sole splende come oggi, a proposito, io mi chiamo Elisabetta e tu?”
“Gianni”
Poi iniziò a piovere…


Questo racconto è dedicato a mia mamma Amalia, morta a causa della Sclerosi Laterale Amiotrofica e alla Signora Mariangela Lamanna che si batte per i diritti degli ammalati di SLA. Con la speranza che presto chi cerca una cura contro questo flagello urlì “Eureka!”

lunedì 23 settembre 2013

A noi gente di provincia...

A noi, gente di provincia, piace complicarci la vita.
Mica siami capaci di vedere che le cose le abbiamo sotto il naso.
No, proprio no.
A noi, sempre gente di provincia, dallo studio, al lavoro e ultimo ma non ultimo, l'amore piace andarlo a cercare, come diceva in dialetto la mia povera mamma "sotoacqua" (cioè immergendoci nel liquido convenzionalmente chiamato acqua).
A noi, ribadisco gente di provincia, ci affascinano le metropoli, le ragazze che abitano nelle metropoli e allora fai tanta strada perché pensi faccia figo frequentare le ragazze delle metropoli.
Perché pensiamo che le città grandi grandi e chi ci abita siano solo versioni un po' più grandi del tuo paese, solo che non è così  (a proposito il soggetto è sempre noi, gente di provincia).
Insomma, a noi gente di provincia (penso dovreste averlo capito vero?) la semplicità a volte non piace.
Poi un giorno ti stufi, apri gli occhi e pensi che in fondo la provincia non è così male e non si può essere qualcosa che non si è, magari ci si può provare, ci si può illudere ma è così, a noi (vabbè dai , non lo scrivo stavolta)  piace anche ammettere i nostri limiti, i nostri sbagli.
Così quando torni in quei posti tanto affascinanti finalmente li guardi con il giusto distacco e quando è ora prendi la metro verso la stazione e il treno senza rimpianti o forse qualche rimpianto lo hai, perché a volte anche a noi, gente di provincia, a volte dispiace essere qualcosa che non siamo.
Buona settimana

lunedì 16 settembre 2013

"Mi lasci almeno la mia dignità"

Uno dei giorni più duri nella vita di mio padre fu quando andò a chiedere ai servizi sociali del comune un contributo per riuscire a pagare l'affitto.
Papà fino a pochi anni prima imprenditore senza pensieri e con una azienda che sembrava solida si ritrovò in pochi anni... povero, non ci sono altri termini.
Anzi, tutti ci ritrovammo poveri.
Entrò, strinse la mano con la solita decisione e senza incertezze all'assitente sociale, le spiegò la situazione e ascoltò quello che avrebbe dovuto fare.
Papà però si accorse che l'assistente sociale lo stava squadrando da capo a piedi e allora  papà disse "Signora, lo so che può sembrare fuori luogo venire a chiedere aiuto indossando un costoso capo firmato, quello che indosso è solo un ricordo di un tempo che non c'è più, di un agio finito, la prego non mi giudichi, mi lasci almeno la mia dignità"