sabato 16 maggio 2015

Quando diventammo tutti campioni

"Siamo campioni!"
Lo dice un emozionato e come sempre a poco agio con i microfoni Osvaldo Bagnoli, a lui essere sotto i riflettori costa fatica.
Ho pensato spesso a quelle poche parole gridate e solo oggi dopo trenta anni ho capito che Bagnoli non si riferiva alla squadra ma a tutti, ai tifosi ma più in generale alla città, alla provincia insomma a tutti.
Sì erano altri tempi, forse migliori sicuramente diversi ma riuscire in qualcosa che nessuno riteneva realizzabile fu una grande lezione per tutti.
È questa la vera eredità di quel trionfo: pensare che l'impossibile può accadere, provarci.
Può andare male, può andare bene ma scartare a priori che una cosa possa accadere senza nemmeno provarci significa avere rinunciato a vivere.
Il Verona di Bagnoli non scendeva mai in campo battuto e così facendo riuscì nell'impresa ma anche se non ci fosse riuscito sarebbe comunque rimasta la lezione di chi prova a battersi comunque.
Poi, come ho detto, le cose possono riuscire o meno ma almeno non ci sono alibi, scuse, rimpianti.
E diventammo tutti campioni anche perché quell'Hellas era una parte di tutti, un comune affetto che riuscì ad unire allo stadio persone molto diverse tra loro.
E fu una vittoria che ci ripagò di essere stati come città sotto ai riflettori per storie brutte come quella di Ludwig o il rapimento Dozier.
Cinque anni fa scrissi una mail a Gigi Garanzini, giornalista sportivo allora a Radio24 e una delle voci sportive più imparziali, dicendogli che se era capitato una volta sarebbe potuto capitare ancora.
Mi rispose che la vedeva dura col calcio attuale eppure nonostante quel suo pessimismo io continuo a pensare che un giorno qualcuno griderà ancora a Verona "Siamo campioni!".
Non sarà oggi, forse nemmeno dopo domani ma accadrà e ancora una volta diventeremo tutti campioni.

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