domenica 10 gennaio 2016

Finire d'amare, finire di vivere

Guardo mio zio, magro, il capo curvo, uno sguardo triste e senza speranza.
Da quando è morta mia zia si è lasciato andare, da quando l'unico punto di riferimento certo della sua vita non c'è più tutto sembra non avere più importanza per lui.
Mi dice che negli ultimi tempi ha iniziato a pensare meno a zia ma io non gli credo, non perché non dica la verità ma perché i suoi discorsi alla fine portano sempre nello stesso punto: lei non c'è più e io qui cosa faccio ormai?
Non si possono cancellare così oltre sessanta anni di vita insieme, alti e bassi, pregi e difetti, difficoltà affrontate e superate insieme nonostante tutto.
Ho ancora nelle orecchie quello che ripeteva disperato il giorno del funerale "voglio morire anche io adesso, voglio morire anche io".
Da allora i giorni per lui sono diventati un pesante rito senza senso, una continua nostalgia senza speranza.
Non è mai stata una vita facile per loro, un matrimonio malvisto dalla famiglia perché lei era più grande (a quei tempi era così, ora nessuno ci fa più caso), anni difficili vissuti da immigrati in Svizzera per riuscire a comprarsi casa in Italia.
Figli che non sono mai arrivati.
Aggiungiamoci due bei caratteri molto forti con annesse scintille eppure tra scossoni e difficoltà la nave andava.
Ora però ho negli occhi questo uomo col capo curvo, lo sguardo triste, gli abiti sempre più larghi perché persino mangiare riesce difficile, ormai quella persona che amava conversare davanti ad un buon bicchiere di vino è solo un ricordo.
È difficile vederlo così, è difficile vederlo in questo suo crepuscolo, è difficile accettare che a volte finire di amare è finire di vivere

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